giovedì 28 febbraio 2013

E adesso?



Siamo in un momento di confusione come forse mai era avvenuto prima, i riferimenti politici e istituzionali che, nel bene o nel male, erano punti fermi cui rivolgersi o da cui prendere le distanze, sono praticamente dissolti.
Le formazioni politiche esistenti o pseudo-esistenti si sono rivelate essere o inadatte per costituzione e competenza o addirittura dannose, asservite a prospettive ed interessi che nulla hanno a che fare con le necessità della popolazione; inoltre lo strumento stesso della democrazia per delega (comunque utilizzato anche dai "nuovi politici",  sebbene ci si riempia la bocca di "democrazia partecipata") continua a palesare i propri limiti. Peraltro la democrazia diretta sembra utopica in realtà grandi come l'Italia ( e comunque ricordo che uno dei primi voti popolari di cui si ha memoria scritta condannò a morte Cristo, quindi qualche dubbio sull'istituto in generale mi rimane). 
L'alternativa al voto come espressione unica delle proprie opinioni, lo si é ripetuto negli ultimi mesi, é l'attivismo, la politica quotidiana. Senza dubbio su singoli punti, e particolarmente nel locale, questa strada dá risultati e, in prospettiva, crea legami e sinergie.
Se però la questione che affrontiamo é il futuro politico,  siamo di fronte ad una scelta cogente: o si riesce a convergere  su un progetto politico, o (e dirlo fa passare forse per esaltati, ma é la logica conseguenza del tentar di cambiare la politica senza utilizzare i canali rappresentativi) si pensa alla rivoluzione.
I cambiamenti (e quelli che occorrono ora sono di enorme entitá) o li si fa fare alla politica inquadrata nelle istituzioni, oppure i cittadini per farli debbono giocoforza mettere in atto una vera e propria rivoluzione, e intendo la rivoluzione vera, di piazza, con scontri, feriti e morti.
Da qui il dubbio, mio ma non solo: dato per scontato che l'impegno quotidiano e l'attivismo sono comunque fondamentali e vanno portati avanti, ha più senso rifiutare la politica istituzionale e continuare a lavorare su lotte e sinergie fra lotte, restando ben coscienti che difficilmente arriveranno ad incidere in profondità il sistema - salvo pensare che un giorno il popolo userà i tablet come forconi e rovescerà con la forza il sistema, magari con in tasca ancora la tessera del pdl o del pd-, oppure é meglio, per l'ennesima volta, cercare di aiutare la nascita di una realtà politica istituzionale realmente di sinistra? Questa seconda ipotesi mi fa ridere mentre la scrivo: SEL, Alba, SPN, Rivoluzione Civile sono solo gli ultimi aborti in materia; tuttavia io non trovo una terza via che non sia la fuga o la resa. 
Mi rendo conto che entrambe le possibilità paiono tendenzialmente impraticabili e fallimentari, ma comunque non posso accettare la resa, e se un giorno dovrò trovarmi a far campagna elettorale per qualcuno, oppure in una piazza a farmi pestare dalla polizia, voglio che il mio essere lí sia un qualcosa che deriva da scelte e percorsi pensati e decisi in modo cosciente, non perché lì ci si é finiti per caso. 

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