sabato 30 marzo 2019

Pantren

A giorni uscirà un mio nuovo libro, per l’Editore Il Graffio. Si intitola “Pantren”, e ha per sottotitolo “schegge di tremila anni di storia incastrate nelle pietre di Mompantero”.
L’idea di scriverlo è nata a margine della pubblicazione, con M.Tomatis e F.Sottile, de Il Codice Dell’Oro, libro bifronte che riproponeva uno scritto di fine ottocento riguardante Mompantero e il Monte Rocciamelone, corredato da tre saggi che ne suggerivano prospettive di lettura immaginifiche. Proprio durante quell’operazione mi sono accorto che riguardo al piccolo Comune della Valcenischia esistevano molte storie interessanti e anche talune vicende di forte peso, lasciate però in tanta parte ad una morente tradizione orale o a impolverati faldoni d’archivio. Da lì son partito: intervistando, leggendo, spulciando antichi codici, importunando svariate persone.... Fino a tirarci fuori Pantren.

Come avrete intuito si tratta di storia locale, anche se declinata in un modo che ritengo non usuale; di seguito troverete copertina, premessa ed indice.
Presto sarò in giro a farlo conoscere, se interessati/e ad ospitare presentazioni, o a comprarne migliaia di copie, scrivetemi.



                             



         


Premessa 
“Mompantero è l’apoteosi della periferia.
Periferia rispetto a Roma, certo, ma anche rispetto a Torino e alla stessa Susa. Per assurdo è addirittura periferia della Val Cenischia. Sebbene infatti, come vedremo, sia stato teatro di un’antropizzazione precocissima, il suo essere abbarbicato su un versante allo snodo di due valli lo ha tenuto “a latere”. A latere delle vicende del periodo celtico e poi romano, delle vicissitudini medioevali prima e rinascimentali poi sul predominio dei vari Capitoli religiosi, a latere degli affari legati al transito transfrontaliero, a latere delle guerre savoiarde... si badi bene: questa “lateralità” non implica che le vicende appena accennate (e molte altre) non abbiano toccato Mompantero: tutt’altro! Però nella maggior parte dei casi l’hanno interessato in modo diverso rispetto ai paesi e alle comunità circostanti: i cicli di peste e carestie, mentre decimavano la popolazione della valle, a Mompantero incrementavano gli abitanti, poiché in molti scappavano in alpe; i saraceni, che depredarono a ondate il territorio per 50 anni per poi essere cacciati, a Mompantero pare invece si siano insediati stabilmente; i grandi conquistatori che passarono per il territorio valsusino quasi sempre snobbarono il piccolo e scomodo centro, in tal casi risparmiandolo da durezze che si sono invece abbattute altrove, in altri privandolo di servizi, infrastrutture e opportunità...
Una posizione peculiare, su cui la Storia ha rimbalzato molto spesso ed in maniera frequentemente inconsueta. Ma si può leggere una porzione di storia universale attraverso lo sguardo obliquo di un paesino montano? Probabilmente no, almeno non in modo esaustivo. Però questa prospettiva mi è parsa suggestiva: il punto di vista periferico è spesso gravido di spunti, di colpi d’occhio inaspettati.”

Indice
Premessa
introduzione

PARTE PRIMA • La storia lontana

I. Uno sguardo all’età preromana, tra storia e leggenda

il mito
la città di Ram
la (prei)storia 
I ritrovamenti neolitici
i Cozi e Roma
Le tombe romane di Urbiano 

II. Dal Medioevo al Secolo XVII

le prime tracce, i monaci 
le prime attestazioni
rotario 
Compaiono altre frazioni -un problema di parrocchia
i figli di Valdo
Mompantero indipendente
Gli affreschi di Mompantero

III. Il Sette e l’Ottocento

il Settecento
Mappe parlanti
Vita da Pantren
il primo ottocento
Il territorio
il secondo ottocento 
Il Molino Chiolero

PARTE SECONDA • La storia vicina

I. Il secolo breve fino alla ww2

l’inizio del secolo
la prima Guerra Mondiale
Vita militare
il dopoguerra
Pinot ‘l Sindich
 il fascismo
 l’entrata in guerra

II. Dalla lotta Partigiana alla ricostruzione

Partigiani di montagna
 L’opera d’arte dell’Arnodera
la resistenza a Mompantero
 la ricostruzione
 anni ‘60-‘70

III. Tav, con zii e nonni

la a32
il MaxiElettrodotto (che non fu). nascita di qualcosa
 Puzza di Tav
 31 ottobre 2005: la battaglia del Seghino
Paralipomeni ‘80-‘10
Incendio e post

ringraziamenti 
Bibliografia 
indice dei nomi
Indice dei toponimi
indice delle immagini


martedì 13 dicembre 2016

Note tecniche sulla ristrutturazione del Teatro Civico di Susa

 Tempo fa, su richiesta, produssi un parere tecnico di massima sul progetto di ristrutturazione del Teatro Civico di Susa.Degli aspetti politici ho già scritto e discusso altrove, per stare alla sostanza - che magari incombe - pubblico qui la mia relazione, qualora fosse di interesse:



Premessa

Nelle presenti considerazioni non tengo contro né dei lavori accompagnatori né degli aspetti archeologici e storico-artistici, che non mi competono.Faccio notare che i documenti componenti il progetto sono talvolta discordanti tra loro sia sui dati che sulle tecniche scelte per i lavori, inoltre il progetto a me arrivato é lacunoso di impiantistica elettrica, materiali di illuminazione di palco e fonica: l'analisi quindi é giocoforza di massima. 


 SICUREZZA

La "Relazione sulle misure di sicurezza antincendio" messa a punto dall' ing. Brunero si basa (ne é una copia alla lettera con qualche correzione e integrazione) sulla "Regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione [...] dei locali di pubblico spettacolo" del 1996; tuttavia gli aggiustamenti adottati si dimostrano parecchio accondiscendenti: ad esempio accettano materiali di classe ignifuga inferiore a quanto previsto dalle norme.Pur nella loro tiepidezza, le misure prescrivono sedie "ben ancorate al pavimento"; il progetto esecutivo contempla semplici sedie "all'occorrenza agganciabili tra loro"; stando alla normativa, é al massimo prevista una deroga per "sedie non ancorate a terra solo se collegate rigidamente tra loro in file", deroga che é però definita assolutamente temporanea. Esistono da tempo soluzioni non particolarmente onerose né visivamente invasive che permettono di avere platea mobile ma in sicurezza, ad esempio file di poltroncine semoventi ancorabili a terra.

Riguardo alle uscite di emergenza si riscontrano diverse incongruità:

1) le prescrizioni contemplano n.6 moduli di uscita (3 doppie porte) dalla platea facendo il seguente computo:- 2 settori da 83 posti cadauno, più un settore posteriore da 42La formula per il calcolo é la seguente:(max. affollamento + personale) / coefficiente di capacità di deflusso (per locali a +/- 7,5 m d'altezza é 37,5)quindi: 208+ 6/37,5 = <6Però il progetto contempla 212 posti in platea - non 208,  e inoltre parte del pubblico di galleria dovrebbe utilizzare anche uscite della platea quindi, seguendo il piano di fuga prospettato nel documento antincendio e valutando che 1/4 circa del pubblico di galleria dovrebbe usare le uscite di platea, sono necessari almeno 7 moduli di uscita di sicurezza. O una riduzione dei troppo elevati posti a sedere.
2) la norma prescrive altresì la ridondanza dei percorsi di uscita emergenziale per tutta l'utenza di sala: ciò non é garantito per la galleria né per i disabili.La distanza tra sedie e parete sembrerebbe dalle planimetrie a norma: in realtà i tendaggi dello strascico del baldacchino della regia sono de facto da considerare impedimenti, quindi almeno 6 sedute di galleria sono fuori norma.
Nel progetto é contemplata una graticcia lignea: se é vero che in Italia, per quanto non siano a norma, le graticce lignee sono tollerate nei vecchi teatri, costruirne di nuove -oltre a rendere oltremodo scomodo il lavoro dei tecnici - é assurdo nonché passibile di sanzioni.
La dislocazione dei posti riservati a portatori di handicap non é a norma: essi devono essere situati il più possibile vicino alle uscite di sicurezza e così non é; da quel che si evince dagli schemi di fuga inoltre, le carrozzine dovrebbero percorrere metà teatro per arrivare ad un'uscita priva di scale. 
Non si apprezza né in relazione tecnica né in elaborati grafici la presenza di naspi antincendio


FRUIBILITÀ

I posti per le carrozzine sono situati in prima fila:oltre alla distanza dalle uscite, quando non si utilizza la fossa o si prolunga il proscenio tali posti scompaiono (quindi o non si ha spazio per le carrozzine oppure le si pone altrove trasgredendo al piano di sicurezza, che le esige situate nei punti previsti).Come loro malgrado documentano le sezioni grafiche del progetto, la prima fila di galleria non potrà avere visibilità accettabile a causa della balaustra prescritta per ragioni di sicurezza.Oltre alle problematiche con la legislazione antincendi, aver tanto ampliato il numero di posti in platea ne penalizza vista del palco e accessibilità. Immaginando (come da relazione generale) che si voglia utilizzare lo spazio del palcoscenico anche per la danza, l'inclinazione del 3% é decisamente ostativa alla fruizione (dovrebbe avere almeno il 4%).Inoltre l'altezza da terra di quasi 120 cm riduce notevolmente la visibilità di palco da parte delle prime file


FUNZIONALITÀ

Il palco realizzato in parquet (anche qui il progetto descrive diversamente materiale e realizzazione in 2 punti, ma la sostanza pare questa) esclude praticamente ogni allestimento teatrale che non sia amatoriale, in quanto non saranno possibili fissaggi a punta. (I palcoscenici professionali si fanno in assito)
Non é contemplata alcuna discesa in platea dal palco. (Certo si potrà/dovrà aggiungere in seguito, tanto vale pensare dall'inizio una scala -anche di servizio- integrata al progetto, sicuramente preferibile ad una costruzione posticcia).
Boccascena e arlecchino così come previsti, di fatto vanificano tutta la macchina della torre teatrale: mantegni, rocchetti, funi etc diventano inutili poiché la graticcia é quasi a vista e non vi si può calare alcunché. (Ad occhio, perlomeno l'arlecchino dovrebbe essere prolungato di 1,70/2 m).
Dalla cabina di regia la visibilità (sempre da sezioni progettuali) é possibile solo da seduti e con difficoltà.
Così come pensata, l'ubicazione del video proiettore presuppone un apparecchio molto potente con ottica personalizzata; se l'idea é quella di far cinema e quindi montare -non si sa come- un proiettore cinematografico a pizze, può aver senso - (ndr, non più poiché legislazione é cambiata) ma allora tutta la cabina regia non é a norma, altrimenti é uno spreco immenso, contenibile semplicemente montando un normale proiettore dotato di keystone all'altezza del "lampadario". 


FONICA e ILLUMINOTECNICA 

Da relazione tecnica generale si evince che la corrente elettrica per fonica e illuminotecnica sarà distribuita sulla medesima linea del resto delle utenze del teatro;  le fasi per luci e audio devono essere ad uso esclusivo, per evitare innumerevoli inconvenienti (questo avviene anche nelle sale amatoriali).Pur mancando le relazioni tecniche sull'impianto, dal punto di vista dell'illuminotecnica l'assenza dell'americana di sala, sostituita da ganci spinati sul "lampadario", è fatale: con distanze superiori ai 6/7 m i tipici proiettori teatrali pianoconvessi da 1kw diventano quasi inutili, perciò o le compagnie si doteranno di materiale ad hoc per Susa, oppure il proscenio sarà buio poiché la prima americana di palco presenta un angolazione eccessiva per l'illuminazione frontale; non si apprezzano inoltre forche o piantane di sala perciò l'illuminazione proscenica sarà debole anche lateralmente. Nella relazione generale si fa cenno ad una americana motorizzata (che si evince essere la prima di palco): data la sua posizione, come prima citato é poco funzionale ed é probabilmente inutile motorizzarla (cosa che ha notevoli costi).(La struttura del teatro consentirebbe agevole installazione di un'americana di sala motorizzata, alla corretta distanza dal palco, nonché il posizionamento di discrete e funzionali forche in galleria con gli adeguati cablaggi.)

Dal punto di vista della fonica e dell'acustica le scelte compiute lasciano perplessi per diversi motivi: Acustica: si propone un soffitto piatto fonoriflettente per le frequenze medie e alte e fonoassorbente per le basse, un soffitto di galleria fonoassorbente (ma liscio), pareti fonoriflettenti e tendaggi fonoassorbenti mobili per modulare i tempi di riverbero. Non si accenna a provvedimenti per migliorare l'acustica sul palco, né per il fondosala
Fonica: non si accenna a impiantistica adeguata o a sistema audio con ritardi, né a sound-engineering per la diffusione. Nelle schede tecniche allegate al progetto non ho reperito studi di acustica (salvo la VIA) che giustifichino alcuna di queste scelte; pur essendo tema difficoltoso da trattare, pare quantomeno singolare pensare soluzioni così "forti" e singolari senza studi di appoggio, in particolare:Il soffitto riverberante pensato per migliorare l'acustica in galleria sarebbe giustificato da una simulazione del tempo di riverberazione secondo la formula di Sabine:questo tipo di studio fornisce risultati sul tempo medio di riverbero all'interno della sala (che prima  dell'intervento era già eccessivo), non sui ritardi; a giudicare dagli spazi del teatro con un soffitto riflettente si rischia di avere in alcune zone della platea un ritardo superiore agli 0,04 s e comunque una variabilità notevole fra le differenti zone del teatro, il che presuppone un ascolto pessimo. - la gestione del riverbero tramite lo spostamento dei tendaggi é un sistema molto simpatico, ma che si scontra col fatto che é ingestibile dal punto di vista musicale (a meno di scritturare una platea per le prove o avere un fonico che scarrella tende durante i concerti) e che, così come prima detto per il soffitto, ad apertura tende creerà ritardi eccessivi;la fono-assorbenza del soffitto di galleria é probabilmente necessaria, la scelta di farlo con profili lisci ne alza a dismisura il costo.
Rischiando di essere poco poetici e filologicamente scorretti, sembrerebbe molto più logico e funzionale: 1)dotare la sala di un impianto fonico provvisto di ritardi di emissione ben calcolati 2) ridurre il più possibile i ritardi ed i riverberi naturali - che comunque in parte persisterannoAd oggi tanta parte della prosa, così come la musica e la danza esigono amplificazione, che con la soluzione delle superfici riverberanti risulterebbe molto difficile da gestire. É sempre buona norma cercare di attenuare suoni di risposta poiché la tecnologia attuale permette facilmente di creare un riverbero quando non c'é, mentre non lo  può cancellare se c'é.In alternativa, volendo caratterizzare acusticamente la sala in modo particolare (e precludendo così la possibilità di ospitarvi i 3/4 delle tipologie di spettacolo previste in progetto) é necessario compiere studi sull'acustica per calibrare le risonanze alle varie frequenze.



A titolo non tecnico, in ultimo, pensare di far entrare le carrozzine dall'entrata secondaria prevista per non "sporcare" la struttura della scalinata, mi pare una scelta di poco gusto: una rampa posta a sinistra della scalinata non turberebbe il profilo della facciata, rimarrebbe discreta e sarebbe funzionale e socialmente più corretta 


lunedì 7 novembre 2016

"Un viaggio che non promettiamo breve"

Il 31 ottobre è uscito, per i tipi di Einaudi, "Un viaggio che non promettiamo breve - 25 anni di lotta notav", di Wu Ming 1. 
Qui il mio tentativo di recensirlo. 

Per illuminare il sentiero che porta al cantiere in Clarea, le forze dell'ordine utilizzano dei grossi riflettori, tecnicamente dette quarze a scarica; la forte luce che queste emettono appiattisce ciò che illumina, ed inoltre il sentiero è tortuoso e lungo, molto, così il risultato é una cattiva illuminazione, con tanta parte del percorso che resta al buio.

I diversi libri sul movimento notav che avevo letto finora avevano più o meno tutti il medesimo punto debole: un'angolazione fissa, una luce sempre uguale, tanta roba che restava nell'ombra.

WM1 ha deciso invece di raccontare il percorso della lotta notav accendendo fiaccole, poste ad una certa distanza l'una dall'altra, e ad una certa altezza sul sentiero; ogni fiaccola ha il suo colore, il suo crepitio, ed illumina un pezzo del percorso; per carità, alcune zone restano in ombra - lo si diceva prima, il sentiero é molto lungo -  ma l'autore ti porta per mano da una pozza di luce all'altra.


"Un viaggio che non promettiamo breve" é un libro collettivo.
Con un lavoro che si evince esser stato ponderoso WM1 si é avvalso di testi di vario tipo - evidentemente soppesandone una gran quantità - per parte del racconto, per un'altra ha preso le parole direttamente dai protagonisti (spesso intervistandoli), infine, ovviamente, ci ha messo del suo.
L'autore si pone però in tante parti dell'opera quasi come un direttore d'orchestra che dà ritmo e voce ai singoli strumenti, ciascuno dei quali svolge il proprio tema. Poi contestualizza, commenta, raccorda, "dice" - e parecchio- anche lui, ma la sensazione percepita all'atto della lettura è indubbiamente di coralità.

Una coralità in cui le parti sono divise con criterio, per dare un'immagine complessiva del tutto credibile (a parte la gigantografia di Turi, sempre portata avanti nel movimento, secondo me eccedendo; che però é figura così potente -insieme epica, mistica e goliardica - da meritare uno strappo dal vero, anche considerando la particolare dinamica in cui Wm1 la inserisce).

Naturalmente non é una narrazione oggettiva (la narrazione oggettiva non esiste), la scelta di dove e quali fiaccole accendere dà un'angolazione, una prospettiva, ma tutto si tiene e il sentiero alla fine é bene in luce.. Stupisce poi, da valligiano, che le scelte collimino quasi totalmente coi ricordi (ovviamente per la parte di cui io posso averne); delle decine di episodi/momenti che personalmente ritengo di particolare importanza ne manca solo uno: il presidio permanente di piazza Castello a Torino (due mesi di presenza costante con concerti, proiezioni, dibattiti assemblee, arrivando anche a numeri relativamente alti, sempre guardati a vista ed identificati dalla digos... forse l'unica esperienza di un qualche peso sviluppatasi nel capoluogo), ma essendone stato tra gli animatori, forse é la mia soggettività qui a inciuccar i valori...

I pochi elementi di finzione (in cui l'amore dell'autore per S.King affiora ben visibile) muovono i ritmi e aiutano a rinsaldare il racconto, alcuni espedienti letterari alleggeriscono la lettura (ché il materiale trattato é per peso e sostanza davvero importante) e l'uso dell'imperfetto fa infine assaporare l'opera come Storia, davvero con la S maiuscola.

Con la peculiarità però d'esser storia viva, una storia da inquisire per capire perché, perché qui e non altrove, con che dinamiche, con quali prospettive...

In un testo del genere era ovvio ci fosse una parte dedicata al pre-movimento, ma credo in molti ci saremmo aspettati qualche pagina sui partigiani, non incursioni di interi capitoli, a spingersi fino a Re Cozio! La storia della valle, particolarmente negli aspetti economici, sociali e politici, viene ripercorsa con l'aiuto di fonti (e che fiaccole queste!: dal diario partigiano di Ada Gobetti, al periodico del primo '900 La Valanga, a fogli del sindacato... fino alla pagine di Rastello che portano luce sui primi anni di tav, e non solo in valsusa), fonti che parlano, raccontano, cantano. Già perché nel libro c'é tanta musica, diegetica e non.

In alcuni punti il fuoco si allarga, ad abbracciare incursioni da e per l'esterno, e leggiamo di Trieste, Napoli, dei Mapouche....


Giunto alla vicenda di Sole e Baleno Wm1 non si sottrae ad un'analisi/autoanalisi di grande onestà, relativa a errori, miopie, piccolezze di più parti, ai tempi. Racconta lucidamente i fatti senza avventurarsi, secondo me saggiamente, nel ginepraio degli antefatti (qualcuno un giorno spero lo farà, ma é argomento che merita un lavoro, uno studio a sé, a liquidarlo in un' opera di più ampio respiro - altri ci han provato-, si rischia il ridicolo - altri lo hanno ottenuto).

Non son sicuro di come possa venir letto, questo viaggio non certo breve, da un occhio esterno alle dinamiche di valle: immagino pathos nel dipanarsi dei momenti epici/tragici, fatica (intesa come lavoro intellettuale) nel comprendere meccanismi, dinamiche... rabbia scoprendo nefandezze, violenze e abusi... forse stupore, perché di cose "stuporose" qua ne son successe parecchie...
Per me, come credo per molt* compagn* del movimento, in tanta parte é stato leggere storie (anche) mie, rivivere con una prospettiva più aerea giornate e nottate già vissute, metterle in fila e forse comprenderle meglio, appunto vedendole messe in fila, contestualizzate, storicizzate. Non una lettura senza emotività, sia chiaro, solo un'emotività diversa, al pathos si sostituisce il ricordo, alla fatica un po' di malinconia, lo stupore c'é ma é un altro, quello di accorgersi che si era rimosso qualche pezzo, o non lo si era messo nella cornice giusta... la rabbia, invece, la rabbia resta la stessa.






martedì 7 ottobre 2014

3, il numero perfetto

Le richieste di condanna al maxi processo NOTAV sono esorbitanti, indegne e apparentemente illogiche. Molte sono di tre anni, poco sopra il limite per ottenere la condizionale; per chi é poco addentro ai meccanismi della procura provo a spiegare il perché, attraverso la vicenda accaduta ad un amico.

Dodici anni fa, durante una protesta per il processo sui fatti accaduti al funerale di Baleno, una ragazza viene strattonata da un poliziotto. Un compagno interviene per metterla in salvo. Riesce a sottrarla al poliziotto, ma altri sbirri prendono lui. Due mesi in carcere in attesa del processo. Il capo di imputazione é simpaticamente "tentato furto di arma da fuoco ad agente di pubblica sicurezza". Il compagno é allibito, é chiaramente un falso! Perché? Perché l'eventuale condanna (una cosa attorno ai 4 anni) supera i limiti della condizionale. L'avvocato spiega che l'imputazione é difficile da confermare, ma si rischia grosso, di poliziotti ce n'erano molti, durante il fatto, e se confermano...
Il compagno é giovane, impaurito, si sente solo, e per di più é in carcere. Arriva poco prima del processo la proposta di patteggiamento: resistenza a pubblico ufficiale, 1 anno e 4 mesi, ovviamente con la condizionale. Il compagno firma e va a casa, avrà problemi per anni e la fedina penale sporca, ma é libero. La procura di Torino si evita un processo insostenibile e condanna un violento anarchico.

Per questo oggi dobbiamo essere tutti complici e solidali con i compagni sotto processo, perché non si sentano soli ed abbiano il coraggio (e già molto ne hanno dimostrato) di non farsi ricattare.

Le mogli dei ninja e David Beckham sono un buon paravento.


Piccola riflessione-resoconto a caldo dopo 3 giorni passati ad Istanbul,

con 4 premesse:

1 Non sono esperto né di Turchia né di Islam.
2 Sono stato in loco durante la festività del Sacrificio, una tre giorni in cui nella città si riversano (oltre alle solite tonnellate di turisti) tantissimi turchi da ogni angolo del Paese.
3 Non ero mai stato ad Istanbul e, pur avendo girato molto, la mia prospettiva é giocoforza limitata al cuore della città e a quel che pochi giorni possono permettere di vedere. Resta comunque la megalopoli in cui vive più di un sesto dell'intera popolazione turca.
4 Questo piccolo e parzialissimo scritto ha unica funzione (se ce l'ha)  di stimolare ragionamenti e dibattiti, non ha alcuna pretesa di rivelare angolazioni giuste o verità .

La strada utilizzata per annusare un po' Istanbul é quella che uso sempre, molto empirica e un po' faticosa, ma a mio avviso funzionale: chilometri su chilometri a piedi, dal mattino alla sera tarda (mal contati 40 in tre giorni), girando posti e postacci ed evitando il più possibile i cartonati per turisti.

Appena arrivato in città colpiscono le donne con il velo integrale; ne ho già incontrate, in Egitto, in Tunisia, anche in Italia, ma qui ne vedo a grossi gruppi, girare per strada da sole (fatto alquanto singolare, la tradizione islamica "ortodossa" vuole che le donne escano di casa solo accompagnate da un membro maschio adulto della famiglia), e mi viene stupidamente da pensare: "sembrano mogli di ninja". Mi paiono una nube indistinta, dei cloni l'una dell'altra, e dedico ad altro la mia attenzione.
La prima camminata mi porta da nord di Gezi Park fino alla Moschea Blu: la gentilezza e la disponibilità dei locali si dimostra tantissima, fin quasi eccessiva (un ragazzo con figlioletta in braccio arriva ad allungare il proprio percorso per mostrarmi la via, dopodiché si eclissa con un saluto, quasi ad evitare ringraziamenti); stupisce la relativamente poca povertà visibile, paragonabile a quella di una qualsiasi altra città europea, e l'enorme laboriosità: cantieri, negozi, bancarelle... é impressionante il brulicare produttivo, quasi quanto l'efficenza e la modernità delle infrastrutture.
Arrivato a piazza Taksim - non so che mi aspettassi - trovo, a fatica tra fiumi di persone, solo bancarelle di fiori e kebap e - dopo ormai quasi cinque chilometri di camminata - le prime forze dell'ordine, discretamente nascoste in un vicolo, ma numerose e con armamento antisommossa.
Il meticciato socio-culturale è visibilissimo: ragazzi gay per mano (hanno l'aria temeraria di chi sfida il mondo e ha un po' paura, ma mi pare ricevano solo qualche sparuta occhiataccia), ragazze che paiono lady Gaga, un numero elevatissimo di giovani uomini che i "vecchi hipster" definirebbero metrosexual, e poi il velo, declinato in ogni sfumatura, da quello che sembra un capriccio estetico fino al burka. E quando l'occhio si abitua anche tra i veli integrali si indovinano differenze: pur essendo tutti neri e di taglio simile, gli abiti sono di tessuti differenti, alcuni con orli dorati altri senza frange e lisi, gli occhi che ne spuntano in certi casi sono truccatissimi, in altri dimostrano un pallore estremo; le scarpe che fan capolino da sotto sono a volte tacchi ricercati, a volte pantofole male in arnese; così come gli accessori, buste di plastica e stringhe per cintura o borse firmate, rayban e smartphone.
Mi imbatto in una "moglie di ninja" che si fa un autoscatto, poi, spiando un'altra chattare, vedo che la ragazza con cui sta conversando ha come avatar una propria foto col volto totalmente coperto dal velo.... Tutti dati normali, valutandoli con l'occhio del sociologo culturale, ma forse sono anche indice di altro, di uno strano modo di far interagire due visioni del mondo. Quando entro in un piccolo ristorantino (l'equivalente di una nostra osteria) al tavolo di fianco trovo seduta una famiglia locale, marito, moglie e figli vestiti all'occidentale e suocera (?) col velo integrale: per mangiare l'anziana donna scosta il velo ad ogni boccone e l'uomo (genero o figlio che sia) la contempla con l'aria rassegnata e lancia uno sguardo complice alla moglie, probabilmente stan pensando "ah, 'sti anziani, con le loro stupide tradizioni!". La sciocca idea di una preponderanza di laicismo fra la gioventù si frantuma poco dopo, quando scorgo un coppia di ventenni, lui un incrocio tra Tony Manera e Justin Timberlake, lei in burka: la ragazza fatica ad incedere poiché non può alzare lo sguardo da terra e deve però evitare, avanzando tra la folla, di toccare chicchessia (deduzioni mie), lui - mentre chiacchiera parlando con un amico - la controlla ad ogni passo con sguardo vigile e severo. Più tardi in albergo una giovane donna, incrociandomi, metterá letteralmente la faccia contro al muro e camminerà così per sette/otto metri, fino alla propria stanza.

Da una vettura aperta di un tram in movimento un gruppo folk rock intrattiene i passanti, poi si ferma per la Salāt al-maghrib che giunge dal vicino minareto ma che resta ignorata dalla strada, anche dai passanti dall'aspetto più tradizionale. É questo il dato strano e per me straniante: i filo occidentali frequentano i Mc Donald e gli Starbucks  dove però cucinano (evidentemente perché se no non vendono) kebap e dolci di miele e nocciole; gli "ortodossi" pretendono rigore tradizionale, hanno barbe lunghe e impongono velo e altre regole misogine della tradizione ma non si fermano per la salāt, che é precetto coranico. La dicotomia culturale che di primo acchito tanto affascina sembra essere un'altra cosa, sembra voler essere una bandiera, uno schieramento formale (o quasi) pro o contro Europa, pro o contro nazione islamica.
Ovviamente é un ragionamento riduttivo, ma pare che la donna velata sia lì, anche in posti squisitamente turistici, a camminare avanti e indietro senza parlare, senza guardare una vetrina, proprio perché chi ce l'ha messa vuole io creda lei sia davvero la moglie del ninja, che accanto a lei - trattata da mero oggetto ma con sema di forte valore mediatico - ci sia un baluardo dell'islam. E i "modernisti" con improbabili pantaloni di pelle, meshes rosso bionde e magliette fluorescenti non é che siano realmente privi di gusto estetico, stanno semplicemente dicendo che vogliono occidente, tifano Beckham. Questa contrapposizione formale si cristallizza inspiegabilmente in un'ossequiosa quiete apparente, una bonaria tolleranza di facciata che é presumibilmente voluta dalle istituzioni: prosperità e convivenza, garantite dalla spinta ai consumi da una parte, da una base elettorale conservatrice ben radicata dall'altra, atte a neutralizzare altre problematiche.
La situazione é comunque palesemente instabile: il tifo, "pieno" o "vuoto" di convincimento che sia, tende spesso ad estremizzarsi, ed il passato della Turchia lo ha dimostrato abbondantemente, ma ciò passa in secondo piano, purché non si veda il terzo attore.
Procedendo per il quartiere di Galata su alcuni muri vedo manifesti di fresca stampa, non siglati, ma chiaramente di ambiente PKK (o DTP), che inneggiano alla resistenza all'"imperialismo dell'Isis": l'unico dato politico diretto della mia visita. Il mattino dopo saranno scomparsi. Più avanti mi siedo per un caffé: in mezzo a suonatori moltocaratteristicilocalioriginali e carretti colmi di qualsiasi cosa che si sfidano per attirare i passanti, un piccolo gruppo di ragazzi che stona con il resto della via per modi e umori canta, pare in spregio a qualcosa o qualcuno, un motivo, accompagnandosi con battiti di mani e accenni di balletto. La strada si ferma un attimo per guardarli male, con disprezzo. "Drunk kurds" mi dicono.

Venendo alla crisi attuale e provando a giocare ad Indovina chi?, nella narrazione che Istanbul fa di sé si incontra gente che saresti pronto a scommettere tifi isis, altra che palesemente parteggia usa/ue, quasi nessuno che sostenga i peshmerga (ne ho forse visti alcuni, di questi, la sera, seduti davanti a serrande abbassate o nei poveri quartieri che si affacciano sul Bosforo, più probabilmente i drunk kurds di cui sopra), nessuno che possa dare l'idea di sostenere il PKK. Ma questa rappresentazione cozza coi dati: se almeno il 18% della popolazione é curda (cfr. CIA - The Factbook, 2011, ma secondo diversi siti curdi si arriva quasi al 28%) e se il DTP prima di essere sciolto aveva diversi seggi in parlamento, dovrebbe esserci qualche eco politica della loro presenza; e non sono in parte  turche le donne curde che vediamo combattere l'isis col PKK?; così come l'evidenza di piazza taksim non può essere stata un fuoco già spento del tutto, e di certo non era (almeno non solo) voglia di Beckham.

Non sembra che Erdogan fin ora sia stato spaventato dalla lotta interiore Occidente-Islam, anzi, pare la gestisca a proprio favore: il problema cogente sono (come da sempre) le spinte libertarie e il popolo curdo; quindi questa parte di Turchia non si deve vedere in strada: a piazza Taksim fiori e bandiere, i manifesti subito stracciati dai muri...

E il meccanismo funziona: la censura (ad ora parziale) di internet alla reception dell'albergo me la motivano con la necessità di tutelare il buon costume e non far vedere donne in atteggiamenti lascivi, ma per strada i manifesti quattro per tre sono come i nostri, e nessuno si scandalizza, così come per le vetrine di lingerie sexy o per i "centri massaggi" (e non mi riferisco ai trattamenti degli hammam).
Ora però la dicotomia fondante la società turca sembra non potrà più fungere da paravento, Erdogan dovrà scegliere, e le prime scelte sembran dire che teme sí la comunità internazionale, ma ha più paura dei curdi e del PKK..

sabato 28 dicembre 2013

Roba persa e roba mia


Progetto musicale semidomestico solipsistico.

Da oggi in avanti, per i prossimi mesi, questa pagina vedrà pubblicati, con cadenza rigorosamente casuale, i brani che vanno a comporre "Roba persa e roba mia": come va di moda dire nel nostro barbaro tempo, si tratta di  un "concept album" di militanza, in cui si alterneranno brani di mia composizione a rivisitazioni di canzoni altrui.
Il progetto é solipsistico poiché, a parte un paio di collaborazioni, tutto é suonato, arrangiato, mixato e cantato da me, pure il montaggio video é mio (piú che solipsista so' poraccio) ed é semidomestico in quanto in studio di mastering arrivano solo i brani già editati, per questo il sound engenier Luca Ravetto (lui sí decisamente professionista) impazzisce per farli suonare in modo decoroso.
La tracklist qui di seguito lentamente (ma spero non troppo) si tramuterá in una serie di link a video di youtube, che rappresenteranno il compimento del progetto.

Buon ascolto!
Graditi condivisioni e commenti

ROBA MIA

1 Solo Servo, nessuna domanda
2  Molotov di plastica versione beta
3 82 ore (canzone per Francesco anzi Franco Mastrogiovanni)
4 F.f.s
5 l'impossibilitá
6 Dormi (pensando a Pavese)
7 ?
8  Ile in Clarea
9 Come
10 Il bagno (quasi canzone ispirata al romanzo del teRRoRe di Wu Ming

ROBA PERSA
1 Tutti giú per terra (Csi) versione beta
2 Oh cara moglie (I. Della Mea)
3 Brigante se more (popolare, feat. Ileana Gugliermina, arr. E.Messina)
   ( da "E pluribus unum",  cd creato con I. Gugliermina per raccogliere fondi a favore del legal team  notav) 
4 Tramonto d'Africa (PGR, feat Ileana Gugliermina finalmente definitiva!)
5 Fiesta (Estra)
il disertore (trad. Boris Vian)
Des armes (Leo Ferré)
EEAD (lib. da S. Tankian)
9 les temps des cerises versione beta (trad.)
10 Girotondo versione beta (De André)
11) diritto al tetto (I Ministri)